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Giovanna Barreca

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La regista italo-francese torna su tematiche care come l’identità e l’appartenenza in Kristos- l’ultimo bambino, suo terzo lungometraggio, presentato alle Giornate degli autori. Con una macchina a mano molto agile e fluida, il film racconta il passaggio dall’infanzia all’adolescenza dell’unico bambino che vive sull’isola di Arki, con altre 30 persone. La nostra intervista.

Giulia Amati si laurea in Filosofia a Roma, poi in digital video production alla New York University e nel 2010 nel suo This is my land … Hebron, con coraggio, documenta la vita degli abitanti della città: 160.000 palestinesi, 600 coloni e 2000 soldati israeliani. Dopo i tanti riconoscimenti ricevuti in tutto il mondo, cambia campo d’osservazione e in Shashamane narra l’Africa, o meglio il viaggio identitario di chi torna per trovare le proprie radici.

Al terzo lungometraggio, Kristos, presentato in Notti Veneziane, spazio off realizzato dalle Giornate degli Autori in collaborazione con Isola Edipo cambia ancora il contesto e protagonista è un bambino che vive nell’isola di Arki, dove da bambina la regia aveva vissuto tante estati con la famiglia. Tornarci a vent’anni di distanza ha creato un cortocircuito nella regista tra la sé stessa bambina – anche se veniva da un contesto completamente diverso – e Kristos che sull’isola convive con 1000 capre, 30 persone e frequenta la scuola elementare del paese dove è l’unico studente della maestra Maria. La donna sprona Kristos a desiderare una formazione, a non abbandonare il percorso di crescita e di consapevolezza iniziato insieme, perché vuole che il giovane possa scegliere, vorrebbe che fosse il primo a desiderare una vita diversa, oltre a perseguire il legittimo desiderio di essere un buon padre di famiglia, come afferma all’inizio dell’ultimo anno della scuola elementare. La scuola media è altrove e la maestra Maria smuove tutte le autorità scolastiche perché la aiutino a offrire al piccolo questa occasione.

Un lavoro con una sola unità di tempo e di spazio, arricchito dalla purezza e spontaneità del protagonista che lega a sé lo spettatore dalla prima inquadratura con il suo sguardo malinconico ma proiettato verso il futuro.

Nella nostra intervista indaghiamo con la regista il percorso di avvicinamento al protagonista e il lavoro di messa in scena visto che, volutamente, Amati ha voluto una sola lente per inquadrare il bambino proprio per permettere che la macchina guardasse tutto sempre dalla sua altezza e con i suoi occhi.

giovanna barreca

Credit – radiocinema.it