VENERDì 11 OTTOBRE ore 21 (V.M. 14 anni)
Cinema Leone – Albisola superiore (Sv)
Ingresso 7 euro, studenti 5 euro
Tarantino per il suo nono film, girato sempre in pellicola (nel 2013 si impegnò personalmente perché Warner, Disney e altre case aiutassero la produzione in celluloide a non esaurirsi), richiama il suo cinema, il suo amore per gli spaghetti western italiani, i dialoghi lunghi e i tantissimi giochi di citazione che diventano manna per i suoi fan più devoti e per i cinefili più attenti.
Ma il regista-sceneggiatore in Once upon a time in Hollywood omaggia soprattutto la Hollywood fine anni ’60 che ormai non esiste più, come da sua dichiarazione al festival di Cannes dove il film è stato presentato in anteprima mondiale, a 25 anni esatti da Pulp fiction (Palma d’oro).
Omaggia la Hollywood dei b movie, delle serie televisive come Bonanza e Rawhide: un mondo che ha tanto amato. Inoltre palese l’omaggio a C’era una volta il western di Sergio Leone ma il titolo richiama anche un voluto aspetto favolistico (A.O. Scott, critico di cinema del New York Times, ha scritto che Rick/DiCaprio va visto come un cavaliere, Cliff/Pitt come il suo fido scudiero e Sharon Tate/Robbie come la principessa nel castello).
Tarantino racconta la Hollywood di questi anni: i suoi set con tanto di fari, carrelli, sfondi cartonati, i suoi film con riprese fedelmente riprodotte, i fumetti, i cartelloni ma inserisce anche aspetti di favola o meglio “finali alternativi” a storie dell’epoca molto note. Come da richiesta del regista anche a Cannes non aggiungiamo molto sulla trama, se non che il protagonista, interpretato da Leonardo DiCaprio è Rick(personaggio inventato anche se richiama diversi attori del cinema western), un
attore ormai in declino che da un manager (Al Pacino) molto generoso e onesto (“Quando iniziano ad ammazzarti alla fine di ogni episodio, vuole dire che sei finito”) viene consigliato di lasciare Hollywood per andare in Italia a girare gli spaghetti-western ed essere protagonista dei film di Sergio Corbucci.
Ha una controfigura Cliff (Brad Pitt) che si rivela essere anche autista, tuttofare nella sua casa a Bel Air. Nel 1969 vicino di casa di Rick è Roman Polanski, all’epoca il regista culto di Rosemary’s baby, sposato da poco con la bellissima attrice in ascesa Sharon Tate. Su tutto il film aleggia la tragedia del 9 agosto 1969 quando l’attrice, incinta all’ottavo mese di gravidanza, venne massacrata nella sua casa dalla “Family” di Charles Manson.
Nel 1969 Tarantino viveva a Los Angeles e aveva 7 anni e il film è ricco del suo immaginario di allora, dei suoi ricordi, della marca della carne per cani, dei film, dei dischi, delle catene di fastfood (qui inventate come quelle delle sigarette), degli autori che lo hanno formato prima come cinefilo e poi come regista. E ovviamente come tutti i ricordi e le ricostruzioni è intriso di malinconia e dei colori vivi e accesi di tutte le cose belle che non esistono più. Ricordiamo inoltre, perché è un fuori campo molto presente che il 1969 era anche l’anno della ribellione, dei cambiamenti radicali in America, degli scontri, dell’amore libero; come ha detto anche in conferenza stampa a Cannes Brad Pitt “c’era molta speranza” nell’aria e un bisogno di ambiamento. Gli omicidi della famiglia Manson rappresentarono una perdita dell’innocenza di quel periodo.