Regia: Amandine Fredon, Benjamin Massoubre

Titolo originale: Le Petit Nicolas: Qu’est-ce qu’on attend pour être heureux?

Sceneggiatura: Amandine Fredon, Benjamin Massoubre, Michel Fessler

Interpreti: Alain Chabat, Laurent Lafitte, Simon Faliu

Distribuzione: I Wonder Pictures

Durata: 82′

Francia, Lussemburgo – 2022

Dai 5 anni

Sinossi

Nicolas è un bambino vispo ma di buon cuore. Il suo sguardo creativo e imprevedibile trasforma in avventura ogni piccolo momento di quotidianità: i siparietti in famiglia, i giochi, la scuola, le gite al mare. E apre un universo di possibilità dove, a volte, un personaggio dei fumetti può arrivare persino a parlare coi suoi creatori.

Il piccolo Nicolas, l’amatissimo personaggio creato da René Goscinny (papà di Asterix e Obelix e penna di Lucky Luke) e Jean-Jacques Sempé, torna al cinema in un film delicato e divertente, che adatta per la prima volta in animazione alcune delle sue avventure più originali e colorate. E fa riscoprire anche agli adulti, attraverso gli occhi dei più piccoli, un mondo gioioso e spensierato. Perché non siamo mai più stati tanto felici quanto lo eravamo da bambini.

Intervista con Amandine Fredon e Benjamin Massoubre

Com’è nato il progetto?

Amandine Fredon: L’idea iniziale era quella di un documentario che accostasse dei filmati d’archivio di Jean-Jacques Sempé e René Goscinny a delle storie animate del piccolo Nicolas. Poi il progetto si è evoluto e ci siamo resi conto di voler fare un film interamente d’animazione. Ci è sembrato più coerente con l’universo degli autori e ci ha permesso di dare vita al primo film d’animazione del piccolo Nicolas.

Benjamin Massoubre: A sviluppare e trovare i fondi per questo film che intreccia le vite degli autori alle storie del piccolo Nicolas ci abbiamo messo anni. Io mi sono unito al progetto solamente nella primavera del 2020. Ho cominciato riscrivendone alcune parti insieme ad Anne Goscinny. Ci siamo concentrati soprattutto sulle scene che rappresentavano le vite di Sempé e Goscinny per aggiungere più dettagli biografici possibile. Al contempo abbiamo lavorato alla direzione artistica con Fursy Teyssier e Juliette Laurent revisionando i personaggi, le ambientazioni e i colori.

Come vi siete organizzati per fare il film insieme?

Benjamin Massoubre: Io ho esperienza come montatore e sceneggiatore, quindi mi è riuscito facile dedicarmi alla scrittura con Anne Goscinny. Poi io e Amandine abbiamo curato il lato artistico e preso le decisioni riguardanti l’animazione.

Amandine Fredon: Bisogna sapere che lo step più importante nel campo dell’animazione è il montaggio. Viene fatto con largo anticipo per evitare che la squadra vada ad animare scene che non verranno poi utilizzate. Ed è proprio in fase di montaggio che si risolvono i problemi legati al copione e si scopre cosa funziona e cosa no.

Benjamin Massoubre: Perciò ho collaborato con gli storyboard artist per uscire dalla cornice del foglio di carta e creare un’animatic. Abbiamo deciso di rivedere tutto il film, abbinare le sequenze dello storyboard a determinate voci, suoni e bozze delle musiche per capire la durata precisa di ogni scena prima di elaborare la versione finale.

Lavorare a dei soggetti così monumentali come Sempé e Goscinny vi ha intimiditi?

Benjamin Massoubre: Questo libro viene tramandato di generazione in generazione in tantissime famiglie francesi. Nella mia, mio nonno l’ha letto a mio padre e mio padre l’ha letto a me; ora io lo leggerò ai miei figli. Quindi, quando si adatta un libro del genere, si ha sempre paura di cadere vittima di un processo alle intenzioni. Ma l’unico modo per superare questa pressione era fare un film che trasudasse la nostra sincerità e il nostro amore per il piccolo Nicolas. Ciò non ha fatto scomparire la suddetta pressione, perché volevamo rendere onore agli autori, ma ci ha permesso di elevare la nostra opera al livello di eleganza dell’arte di Sempé e del genio di Goscinny. L’obiettivo era rendere loro omaggio mantenendo una distanza rispettosa, per evitare di sfociare in una caricatura, in una riproduzione nuda e cruda o in un’agiografia. Per farlo, abbiamo dovuto essere più fedeli possibile a com’erano veramente. Per quanto riguarda i voice over, abbiamo ripreso ciò che hanno dichiarato in diverse interviste, mentre per i disegni abbiamo osservato come si muovevano nei filmati d’archivio.

Anne Goscinny ci ha anche dato l’opportunità di studiare i dattiloscritti e i disegni del piccolo Nicolas. E in questo mondo sempre più virtuale, riuscire ad avere un rapporto tattile con i documenti e le penne di suo padre, sedersi alla sua scrivania, ci ha trasmesso un’emozione unica che abbiamo

cercato di riprodurre nel film: dovevamo assolutamente includere quel legame con il senso del tatto, con il disegno a mano, con la battitura a macchina, col fruscio dello sfogliare le pagine, con il processo creativo.

Cosa rappresentano Sempé e Goscinny per gli animatori professionisti?

Amandine Fredon: Basta vedere gli occhi lucidi degli artisti, il loro piacere e la loro motivazione nel lavorare a questo progetto per capire che Sempé e Goscinny sono dei modelli per chiunque lavori nel campo in termini di disegno e stile. E la cosa è stata incoraggiante per noi.

Benjamin Massoubre: Esatto. Non è stato difficile motivare le squadre, perché molti artisti sono fan di Sempé. E l’impatto dell’opera di Goscinny sull’inconscio collettivo e sull’umorismo francese è innegabile. È stato veramente interessante poter mostrare da dove venisse quel senso dell’umorismo raccontando la biografia di questo cittadino del mondo che ha trascorso l’infanzia in Argentina e ha vissuto anche a New York.

Non si parla molto della loro vita personale. Voi conoscevate già le loro storie?

Benjamin Massoubre: Credevo di conoscerle meglio di chiunque, ma lavorando al film mi sono reso conto di non saperne granché. Ad esempio, abbiamo scoperto che Goscinny aveva trascorso così tanti anni lontano dal suo Paese d’origine che Parigi era come una città esotica per lui, una fantasia.

La storia di Sempé è altrettanto affascinante. È miracolosamente sopravvissuto a un contesto estremamente svantaggiato e ha raggiunto la cima del mondo dell’illustrazione dopo essere stato pubblicato sul New Yorker. Questo è l’aspetto più commovente della sua storia, secondo me. Alla fine dei conti, anche se certi aspetti vengono romanzati, il film è composto dalle loro vite. All’interno di questa struttura complessa che combina il mondo reale degli autori, quello del processo creativo, al mondo di Nicolas, siamo riusciti a mettere in piedi una narrazione emotiva lineare. L’anima del film è il destino di questi due uomini che hanno immaginato per il piccolo Nicolas un’intera infanzia e che hanno sviluppato un personaggio intelligente, simpatico e radioso per elaborare le tragedie che entrambi hanno vissuto durante la loro infanzia. Per Goscinny, la Shoah, per Sempé, la violenza del padre adottivo. Quella del film è una storia di resilienza e della nascita di un’amicizia e il sottotitolo viene proprio da lì: “Cosa stiamo aspettando per essere felici?”

Amandine Fredon: Non bisogna dimenticare che abbiamo lavorato durante la pandemia e, probabilmente, il contesto ci ha influenzati – perciò abbiamo voluto fare un film allegro. Ci tenevamo a mostrare che, prima di diventare famosi, questi artisti hanno avuto molte difficoltà a entrare nel mercato, a farsi conoscere, ma, tuttavia, non si sono arresi – il loro successo è il frutto di una vita dedita al lavoro, hanno scelto di rimanere ottimisti nonostante le sfide e di pensare positivo. Il mondo del piccolo Nicolas e l’umorismo a cui hanno dato vita rappresentano una reazione positiva ai traumi subiti. E il film vuole mandare questo messaggio positivo.

Vi è venuto naturale elaborare quello stile o ci è voluto un po’?

Benjamin Massoubre: Nel film ci sono due mondi ben distinti: quello degli autori e quello del piccolo Nicolas. Per quest’ultimo, siamo rimasti più fedeli possibile alle illustrazioni originali dei libri, sia nel tracciare le linee sia nella mancanza di dettagli che caratterizza gli sfondi. Di conseguenza, le direzioni artistiche sono state due: una basata sulle illustrazioni del piccolo Nicolas e una basata sulle illustrazioni di Sempé per altri libri o il New Yorker – queste sono, infatti, più colorate e più dettagliate. Ma è praticamente impossibile riprodurre il suo stile, perché non disegnava mai il piccolo Nicolas allo stesso modo, mentre per l’animazione bisogna avere un personaggio sempre identico e

immediatamente riconoscibile. Inoltre, la poesia dei suoi disegni si sviluppa in verticale, mentre il film è un formato orizzontale.

Amandine Fredon: È stato importantissimo per noi mostrare i nostri disegni a Jean-Jacques Sempé e ottenere il suo benestare. Nonostante l’età avanzata, ha comunque partecipato ai primi test di animazione e gli abbiamo mandato i nostri lavori varie volte durante la realizzazione del film. Questo scambio ha dato vita a momenti divertenti e commoventi in cui ci dava il suo benestare e commentava le nostre riproduzioni delle sue opere o i nostri disegni di lui. Pensava sempre di essere stato disegnato o troppo bello o troppo brutto, ma era molto orgoglioso che un’intera squadra di persone stesse adattando la sua opera per il grande schermo.

Come fate trasparire il vostro stile d’animazione nei disegni di Sempé?

Benjamin Massoubre: Credo che traspaia ovunque. Abbiamo avuto grande margine di manovra creativa, senza mancare di rispetto all’originale. Ad esempio, abbiamo deciso, come ha fatto anche Sempé, di usare tante nuvolette per mostrare i pensieri di Nicolas. Questo ci ha permesso di dettare i ritmi delle scene e ha dato un tocco poetico all’immaginazione di Nicolas. Per quanto riguarda il mondo degli autori, ci siamo divertiti molto a elaborare vari stratagemmi, come i flashback di Parigi in cui Sempé passa da un set all’altro come se fosse in un musical.

Amandine Fredon: Adattare un’opera significa creare molti elementi nuovi e affidarsi a diversi processi d’animazione, pur restando fedeli all’originale. In questo caso, abbiamo dovuto inventare noi i colori, creare i personaggi degli autori e cercare i luoghi e i periodi storici in cui hanno vissuto, come, ad esempio, l’Argentina degli anni ‘20 o la Parigi occupata degli anni ‘40. Il film tratta anche la nostra storia collettiva. Non volevamo rimanere imprigionati nell’ufficio di Goscinny o nello studio di Sempé, perché dovevamo mostrare a cosa si erano ispirati durante i loro viaggi e per farlo abbiamo dovuto creare diverse ambientazioni e atmosfere così che il pubblico provasse diverse emozioni. I team di animazione, sotto la direzione di Juliette Laurent, sono stati in grado di trovare l’equilibrio perfetto e la giusta sensibilità per dare vita ai personaggi.

Benjamin Massoubre: E lo stesso vale per i loro interessi e le loro passioni. Ad esempio, volevamo che il pubblico vedesse Sempé ballare e cantare o andare a un concerto, perché la musica è stata parte integrante della sua vita. Ne parlava in quasi tutte le sue interviste, quindi era imprescindibile. Idem il viaggiare per Goscinny: era molto più cosmopolita di quanto si immagini e aveva una visione non conservativa della Francia, poiché rispettava molto le differenze. Anzi, chi, oggigiorno, è sempre in attesa di un passo falso degli altri rimarrà deluso, perché l’opera di Goscinny ne presenta veramente pochi. Molti meno di quella di Hergé o di altri. E quando dopo il maggio 1968 i nuovi fumettisti francesi si sono fatti beffe di lui, René si è fatto valere come il tipico francese in ciabatte quale lo immaginavano. Ma credo che Anne Goscinny volesse sbarazzarsi di quel cliché.

Amandine Fredon: Parlando con Anne, ci siamo resi conto di quanto fosse un innovatore suo padre, fin dal suo arrivo negli Stati Uniti, dove, agli albori della fumettistica americana, ha collaborato con autori famosi in tutto il mondo. Ha inventato la professione di autore di fumetti, che al tempo non esisteva, e faceva scrivere le storie agli artisti stessi. Direttore della rivista Pilote, ha fondato uno dei primi studi di animazione francesi (Idéfix) per produrre e adattare i fumetti in film di animazione.

Era importante per voi che il film si distinguesse visivamente o in termini di tono dagli adattamenti dei libri per cinema e TV?

Benjamin Massoubre: Non ci siamo ispirati a quegli adattamenti. Volevamo rimanere più fedeli possibile all’universo visivo di Sempé e mantenere il formato del racconto breve e i testi di Goscinny, ovvero non volevamo allungare il brodo e far durare le storie un’ora e mezza. Il rispetto per l’opera originale degli autori era la nostra priorità.

Quindi avete deciso di “sfogliare” le immagini come pagine di un libro…

Amandine Fredon: Volevamo dare al pubblico l’impressione di ritrovarsi in un libro, dargli l’opportunità di riscoprire la magia delle storie del piccolo Nicolas. Ma dato che i disegni originali erano in bianco e nero, ci siamo dovuti inventare un’intera palette di acquerelli per tirarne fuori il lato nostalgico e poetico, senza tradire l’opera degli autori. Fursy Teyssier, il direttore artistico, ha trovato diverse soluzioni incredibili per preservare l’effetto carta, creare delle sottili aree di colore e far scomparire i personaggi dal bordo dell’inquadratura in maniera naturale.

Benjamin Massoubre: Esatto, con le due direzioni artistiche abbiamo voluto distinguere i due spazi narrativi usando due grammatiche cinematografiche diverse. La porzione legata agli autori rispetta i canoni del cinema classico, si sviluppa dentro a una cornice dettagliata completamente colorata e sfrutta carrellate, primi piani, ecc. Per contrasto, nella sezione legata al piccolo Nicolas, ci siamo limitati a dei campi lunghissimi, che corrispondono agli acquerelli “incompleti” del libro, e a un effetto carta che ricorda le illustrazioni del libro di Jean-Jacques. In questo modo siamo riusciti a passare omogeneamente dalla “realtà” del film (la vita degli autori) al suo lato immaginario (la vita del piccolo Nicolas).

Amandine Fredon: Abbiamo dovuto adottare due tecniche opposte e due stili di regia diversi. Ad esempio, per il piccolo Nicolas i primi piani erano fuori questione. Nel libro è spesso piccolo, perso in un paesaggio immenso, e allontanarsi da quello stile avrebbe significato privare il personaggio della sua poesia. D’altronde si chiama PICCOLO Nicolas, è la sua caratteristica principale. E lo stesso vale per i suoi amici. Quando sono tutti insieme, risultano come uno sciame di piccoli personaggi immersi in luoghi enormi e gli spazi vuoti hanno tanto peso quanto tutti gli altri dettagli.

Perché è stato importante mantenere il piccolo Nicolas come narratore?

Benjamin Massoubre: Per rimanere fedeli ai testi originali e raccontare la storia tramite gli occhi di un bambino. Ma, soprattutto, per non allontanarci da quella che è l’anima di René Goscinny, perché sono le sue parole a collegare i due universi.

Amandine Fredon: E quando, in certe scene, il piccolo Nicolas appare come pensiero sulla scrivania degli autori per interrogarli o discutere con loro, per noi era fondamentale che non fosse un personaggio passivo. L’evoluzione del suo coinvolgimento durante il film era essenziale.

Benjamin Massoubre: Rileggendo i racconti brevi, ci siamo resi conto che Nicolas è molto presente, ma, nonostante narri la storia, è spesso uno spettatore degli eventi che riporta. Per renderlo proattivo, abbiamo dovuto dargli una personalità e un po’ più di anima rendendolo un bambino curioso e allegro.

Qual è stata la parte più difficile del progetto?

Benjamin Massoubre: La sfida più grande è stata trovare il ritmo giusto che coinvolgesse lo spettatore, anche se la storia ha una struttura narrativa atipica. Il film procede scena dopo scena, è costruito come un musical, con canzoni e balletti. Infatti ci siamo ispirati, tra le tante cose, a Un americano a Parigi. Abbiamo dovuto collegare i due filoni narrativi e rendere le scene coerenti per

emozionare. La seconda sfida, a mio avviso, è stata colorare il mondo del piccolo Nicolas, andando ben oltre il tocco di rosso che Sempé dava al suo maglione. Siamo partiti dai toni seppia, in stile anni ‘50, ma non trasmettevano la radiosità che volevamo, quindi abbiamo ripiegato su colori più vivaci e infantili.

Amandine Fredon: Non è stato facile alternare le scene sulle vite degli autori alle otto storie del piccolo Nicolas senza perdere il filo logico. Per farlo, abbiamo escogitato vari stratagemmi che rendessero le transizioni più fluide e coerenti possibile. Un’altra grande sfida, secondo me, è stata trovare uno stile visivo per Goscinny e Sempé che si avvicinasse a quello dei disegni di Sempé. Le sue immagini sembrano semplici, ma è provando a riprodurle che si capisce quanto, in realtà, siano complesse. Usa linee purissime e stilizzate, disegna solo l’essenziale. Per arrivare a un risultato tale, abbiamo dovuto mettere tutto sullo sfondo e cancellarlo. Quindi ci è voluto un po’ di tempo per trovare il giusto equilibrio tra i disegni di Sempé, la nostra interpretazione e la nostra creazione.

Laurent Laffitte e Alain Chabat hanno trovato difficile il lavoro di doppiaggio?

Benjamin Massoubre: Fin da subito io e Amandine abbiamo pensato a loro, perché li adoriamo come attori e, fortunatamente, hanno accettato. Alain conosceva già Anne Goscinny, perché nel 2002 aveva lavorato ad Asterix & Obelix – Missione Cleopatra e abbiamo scoperto che è un grande fan di Goscinny! È come i fan di Star Wars che collezionano statuette e adora tutto del mondo di Goscinny. Alain l’attore ha l’incredibile capacità di donare empatia ai suoi personaggi. Qualsiasi film faccia, viene voglia di guardarlo, perché i suoi personaggi sono sempre sensibili e ispirano a trascorrerci del tempo insieme.

Amandine Fredon: Alain trasmette le emozioni dei suoi personaggi in maniera molto naturale e sincera. È un grande attore che riesce a calarsi nelle scene commoventi senza esagerare. In questo caso, ha eccelso nel trasmettere l’umorismo tagliente di Goscinny.

Benjamin Massoubre: Per quanto riguarda Laurent, invece, è un grande fan di Sempé e non vedeva l’ora di interpretare l’impassibile, e lievemente bohémien, Jean-Jacques. Inoltre, incredibilmente, i due attori non avevano mai recitato insieme ed erano entusiasti all’idea di trascorrere tre giorni in uno studio musicale in Provenza per registrare le voci. Ed è stato un regalo raro poterlo fare in quelle condizioni. È stata come una mini-ripresa: durante il giorno si lavorava e la sera ci si ritrovava e si cenava senza fronzoli. E l’amicizia che ne è derivata si vede sullo schermo.

Amandine Fredon: Non dimentichiamoci però di Simon Faliu, che dà la voce al piccolo Nicolas. È stato incredibile, perché oltre a dover diventare il personaggio e trasmettere le sue emozioni, ha anche dovuto leggere i lunghi passaggi del voice over, il cui linguaggio è un po’ antiquato. Abbiamo insistito per avere la voce di un bambino e non quella di una donna, come spesso accade nell’animazione, e non ce ne pentiamo, perché il suo timbro particolare, la risata nella sua voce e il suo modo di cantare donano una poesia incredibile al film.

La musica è sempre stata importante nella vita di Sempé. Come l’avete integrata nel film?

Benjamin Massoubre: Abbiamo proceduto per stadi. In fase di montaggio, ho fatto diverse bozze e abbiamo deciso di ispirarci ai gusti personali di Jean-Jacques, in particolare ci siamo orientati su Michel Legrand, Paul Misraki (autore di “Qu-est-ce qu’on attend pour être heureux ?”), Duke Ellington e Claude Debussy per delle atmosfere più diffuse. Il ritmo jazz si abbina alla storia, come quelle melodie in voga al tempo che ricordano Ray Ventura, Trenet, Montant e altri. A quel punto, ci siamo resi conto che molte delle composizioni di Ludovic Bource, come quelle per The Artist, sarebbero

state molto bene in questo film, quindi ci siamo rivolti a lui. Poter collaborare con un artista del suo calibro è stata una fortuna.

Amandine Fredon: La sua musica riesce a trasmettere la nostalgia della Saint-Germain degli anni ‘50 e ‘60 e a far immergere lo spettatore in quell’epoca, ma dona anche il tocco moderno e vivace che cercavamo. Volevamo che il film fosse gioioso ed energico ed è stato bellissimo potere alternare le due atmosfere. Benjamin e Ludovic hanno dato il massimo per perfezionare le musiche del film e il risultato è incredibile.

Cosa significa, per un film del genere, essere selezionati al festival di Cannes?

Benjamin Massoubre: Anche se questa è l’età d’oro dell’animazione francese, non viene molto rappresentata al festival di Cannes, quindi poterlo fare è un’occasione unica. Al di là del piacere di andare a Cannes, si tratta di un grande riconoscimento per il lavoro instancabile che abbiamo portato avanti per due anni. E non potrebbe esserci miglior trampolino di lancio per il film che questo, poiché il nostro scopo è sempre stato quello di fare un film popolare e, al contempo, intelligente e accessibile a più persone possibile.

Amandine Fredon: Oltre a rendere felici noi, è gratificante anche per la squadra, perché è un riconoscimento che premia la qualità del loro lavoro e la passione che hanno riversato nel film. Quando si fa un film, si vuole che più persone possibile lo vedano. E il festival di Cannes favorisce proprio questo aspetto.

 

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